giovedì 24 luglio 2014

Count Raven - Mammons War (2009)


Tracklist:
1. The Poltergeist
2. Scream
3. Nashira
4. The Entity
5. Mammons War
6. A Lifetime
7. To Kill A Child
8. To Love, Wherever You Are
9. Magic Is...
10. Seven Days
11. Increasing Deserts

Immaginate i Black Sabbath dell'era Ozzy (non quelli di adesso: quelli ben drogati), pompatene i riff con dosi massicce di testosterone e mettete a cantare uno con la stessa voce del Madman, ma con un minimo di competenza musicale: ecco a voi i Count Raven.

Svedesi di Stoccolma, attivi dagli ultimi anni 80 e con all'attivo solamente 5 album che costituiscono una delle migliori discografie dell'intera scena Doom mondiale, sono passati fondamentalmente attraverso 3 fasi più o meno distinte: la prima va dal cambio nome (da Stormwarning a Count Raven) all'abbandono del cantante di allora Christian Linderson che, dopo la pubblicazione dell'omonimo "Storm Warning", agli svedesi preferisce una (breve) militanza nei Saint Vitus, con i quali ha pubblicato "C.O.D.", per poi vagabondare alcuni anni nell'ambiente doom ed approdare infine nei Lord Vicar in pianta più o meno stabile. La seconda "era" parte appunto con l'abbandono di Linderson, il cui posto dietro al microfono viene occupato dal chitarrista e mastermind Dan Fondelius, il quale plasma l'inconfondibile sound retro del gruppo. Di questo periodo fanno parte i tre dischi fondamentali "Destruction Of The Void" del '92, "High On Infinity" del '93 e "Messiah Of Confusion" del '96, incisi con la formazione storica: Fondelius alla chitarra e alla voce, Tommy Ericksson al basso e Christer Pettersson alla batteria. Dopo alcuni anni di tira e molla, tra reiterati scioglimenti e reunion, Fondelius dà il via alla terza era dei Count Raven, che consiste in una sorta di suo progetto solista, con poca o nessuna promozione dal vivo, ma con la pubblicazione di questo "Mammons War" del 2009. Disco che si distingue nell'ormai pienissimo calderone Doom per una sua caratteristica tanto banale quando speciale: l'avere veramente qualcosa da dire.

I riff granitici alla Black Sabbath sono onnipresenti come da manuale, ma a questi si aggiungono con discrezione tastiere e sintetizzatori in modo per niente invasivo,  a costituire un perfetto complemento agli strumenti tradizionali,  oltre ad inserti melodici, chitarre acustiche e momenti più atmosferici.

Basta ascoltare i trascinanti riff dell'opener "The Poltergeist", così come la successiva "Scream", litania di raro pregio in cui il lider maximo della band offre una prova maiuscola dietro al microfono, o i riff arabeggianti di "Nashira" con il emozionante assolo seriamente degno di nota, o le atmosfere quasi sludge di "The Entity", per venire catapultati all'istante nel periodo di "Vol. 4" e dintorni, con la differenza che durante la registrazione di questo "Mammons War", più che di cocaina, avranno abusato solamente di Voltaren.

La prima sorpresa ci arriva con la title track, essenzialmente un inserto di tastiere, synth e cori a far da tappeto ad una lamentosissima predica super-effettata che ricorda molto da vicino il testo di "War Pigs". Per quanto mi riguarda un gioiellino di rara fattura.

Il resto dell'album scorre tra composizioni più lunghe ed articolate, stranamente inserite in quello che sarabbe il B-side dell'album, ma che non fanno calare di un millimetro la qualità globale dell'opera, grazie sempre e soprattutto alla prova magistrale di Fondelius, sia al microfono che, alle chitarre, con le quali riesce a rendere particolare anche un riff uguale ad un altro ascoltato 30 secondi prima.

Andando ad analizzare formalmente l'album, si dovrebbe parlare di un disco perfettamente doom, ben suonato, arrangiato e prodotto, ma che fondamentalmente non agiunge nulla di nuovo a quanto già fatto negli anni. Questa parvenza di normalità viene però smentita dai suddetti più melodici e riflessivi, strada che, ad onor del vero, è stata già battuta dai Padri con "Changes": nella fattispecie la già citata "Mammons War", la gelida ed appassionata "To Love, Wherever You Are", stupenda dichiarazione d'amore modulata su di un arpeggio formato da sole 4, efficacissime note, e l'eterea "Increasing Deserts", posta a chiudere il disco, che costituisce, per ora, il sigillo ad un testamento musicale che difficilmente verrà raccolto negli anni a venire. Queste tracce sono il vero valore aggiunto di un disco che vale di per sè già parecchio, e che riesce ad imprimersi nell'ascoltatore con una forza inaudita.

I Count Raven non saranno il vostro ascolto quotidiano. Su questo potete giocarvi quello che vi pare. Ma ogni tanto vi troverete a rispolverarli, ed ogni volta sarà una nuova angosciante ma eccitante discesa in un Maelstrom sonoro.

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