venerdì 17 giugno 2016

Iron Savior - Titancraft (2016)


Tracklist:
1. Under Siege
2. Titancraft
3. Way Of The Blade
4. Seize The Day
5. Gunsmoke
6. Beyond The Horizon
7. The Sun Won't Rise In Hell
8. Strike Down The Tiranny
9. Brother In Arms
10. I Surrender
11. Rebellious

Piet Sielck mi è sempre stato parecchio simpatico. È un po' l'eterno secondo della storia dell'heavy metal. Tanto per dire, è colui che insieme a Kai Hansen ha inventato il power metal. Insomma, non proprio l'ultimo degli stronzi. Sfortuna vuole che abbia abbandonato gli Helloween quando ancora si chiamavano Second Hell e suonavano nei locali della Germania Ovest per una cassa di birra e una ravanata di mutande da parte della bionda ubriaca di turno. Poi entrò Weikath, e il resto è storia. Nel frattempo il nostro Piet ha intrapreso una vita come produttore e ha fondamentalmente tirato i fili dell'intera scena power tedesca, tanto per citare alcuni gruppi che hanno goduto della sua produzione: Blind Guardian, Gamma Ray, Stormwarrior, Paragon, Persuader, Grave Digger e Headhunter.
Poi ad un certo punto ha deciso di riprendere in mano la chitarra e ha fondato gli Iron Savior, mettendo su una sorta di supergruppo che all'inizio contava tra le proprie fila il vecchio amico e compagno Kai Hansen e quella mitragliatrice umana che risponde al nome Thomas Stauch, fabbro al servizio dei Blind Guardian che ha effettivamente bisogno di poche presentazioni. Con la formazione leggermente rimaneggiata negli anni (Dan Zimmerman, che ha sostituito Stauch per un paio di anni, prima di lasciare definitivamente il posto a un altro veterano della scena di Amburgo, Thomas Nack, già ascoltato con i Gamma Ray nei primi anni 90, e il perfetto sconosciuto Joachim Küstner, probabilmente il coinquilino e collega di Sielck, al posto di Kai Hansen, andatosene dopo i primi due album) gli Iron Savior sono andati avanti pubblicando dischi su dischi e mantenedosi su livelli qualitativi più che buoni, senza mai sfornare capolavori immortali, e senza mai far gridare allo scandalo.
La formula è sostanzialmente quella del tipico power metal di Amburgo, con pochissime variazioni sul tema. I richiami ai Gamma Ray sono forti, nonostante una pesantezza di base leggermente maggiore rispetto al gruppo dell'uomo con la volpe in testa (ma davvero pensavate che quelli fossero i suoi capelli?) e linee vocali allo stesso melodiche e aggressive, giocate soprattutto sui registri medio-bassi: tanto per dare un'idea, qualcosina in meno rispetto a Peavy Wagner, per la sua abitudine di essere sempre un eterno secondo.
La volpe sulla testa di Kai Hansen mentre concede un'intervista a Blabbermouth

C'è da dire che a Piet Sielck non sembra pesare tutta questa situazione: sarebbe potuto diventare rich and famous con gli Helloween, ma anche con i Gamma Ray, e invece si diverte con il suo gruppo a suonare in locali da 300 persone, girando video per i quali la Napalm elargisce un budget che sfiora le 15 mila lire e registra i dischi che gli pare, quando gli pare, producendoli e potendosi esprimere nel migliore dei modi senza dover chiedere consigli a nessuno. Questa sua ottica alla do it yourself ne ha un po' cristallizzato lo stile in una formula che richiama certe sonorità dei migliori Accept, e le miscela, appunto, con i canoni tipici dell'Hamburg power metal. Nei suoi dischi si sentono echi di tutti i gruppi già citati, per i semplice fatto di essere la mente, o almeno una delle due menti dietro a quel sound estremamente riconoscibile e coinvolgente.
Al termine dell'articolo vi posto il video in cui si cimenta nell'imitazione (riuscitissima) di Marco Berry quando conduceva il gioco a premi dentro a un taxi e, oltre a farvi una risata, soprattutto per la tristezza di un video girato con quattro soldi e un cellulare (e a macchina ferma con la cintura di sicurezza sennò arriva direttamente la Polizei con la squadra Cobra11), spero vi rendiate conto della genuinità di questa gente. Gente che, nonostante faccia video ridicoli, se ne sbatte altamente le palle e pensa solamente a divertirsi e a registrare una musica sanguigna e sincera, che ci fa scapocciare tutti contenti e ci fa dimenticare per quei 50 minuti il fatto che, sì, Piet Sielck sarà un eterno secondo, ma che effettivamente è sempre in una posizione migliore della nostra, a pecora, a cui ci siamo ormai abituati.

Vi chiederete a questo punto come sia questo nuovo “Titancraft”. Io vi dico che non aggiunge né toglie niente a quello che è stato già detto con i dischi precedenti. Probabilmente contiene cori meno memorabili rispetto ai precedenti “Rise Of The Hero” o “The Landing”, ma è comunque pieno zeppo di brani per cui impazzire dal vivo, marchiati a fuoco col sigillo della città di provenienza del gruppo. Ascoltarlo non è sicuramente una perdita di tempo, e ve lo consiglio caldamente, insieme all'esortazione a scavare nella loro intera discografia.
Si, ok, c'è la scena di Gothenburg e di Stoccolma, quella di Bergen, quella di Tampa e della Bay Area. Ma altro che Sparta, QUESTA È AMBURGO!!!!!



martedì 14 giugno 2016

Vektor - Terminal Redux (2016)


 Tracklist:
1. Charging The Void
2. Cygnus Terminal
3. LCD (Liquid Crystal Disease)
4. Mountains Above The Sun
5. Ultimate Artificer
6. Pteropticon 
7. Psycotropia
8. Pillars Of Sand
9. Collapse
10. Recharging The Void


A parte alcuni act che ormai riempiono le arene, ma che sono già partiti con un certo obiettivo specifico, e cioè di conquistare il più possibile il cosiddetto pubblico mainstream (tipo i Volbeat, per dirne uno), tra le band underground una parabola ascendente al livello di quella dei Vektor è un caso più unico che raro. Già dopo l'uscita di "Black Future", nel 2009, c'era chi (giustamente) affermava che i Vektor fossero l'unico gruppo thrash in grado di giocarsela alla pari con le grandi band del passato. Così come dopo la prima data europea all'Hellfest 2013 è partita la gara ad incensarli il più possibile. 

C'è da dire però che i Vektor, tutto questo incenso se lo meritano eccome: un debut del calibro di Black Future, nella mia modesta opinione, non si era mai visto negli ultimi 10-15 anni . Hanno poco da dire i detrattori che li considerano come una cover band dei Voivod, dai quali mi sembra abbiano semplicemente preso le tematiche sci-fi e una certa propensione alla dissonanza e agli accordi spaziali, nella stessa misura in cui ne prendono le distanze con un songwriting più prettamente estremo e meno diretto.

Sicuramente non sono ragazzi che prendono alla leggera il proprio lavoro, visto che il tempo medio di scrittura e registrazione di ogni uscita targata Vektor è di circa 4 anni. Non c'è quindi da stupirsi se in 12 anni la band non sia stata particolarmente prolifica, soprattutto considerando l'elevatissimo livello qualitativo di ogni uscita. Solamente con "Outer Isolation" hanno rischiato di fare un mezzo passo falso, evidentemente forzati a spingere sull'acceleratore dalla label per non finire nell'oblio e cavalcare il consenso internazionale ricevuto con la pubblicazione di "Black Futur" che effettivamente aveva già messo in mostra le marce in più che possedeva la band rispetto alla concorrenza.. Il risultato è stato un disco degno del nome che portava in copertina, ma con una forte sensazione di incompiutezza, soprattutto squadrando la tracklist, e rendendosi conto che su 8 pezzi, ben 3 sono ri-registrazioni di brani contenuti nel demo "Demo-Lition" di qualche anno prima, tra cui "Tetrastructural Mind", una bomba assoluta sia su disco che dal vivo. Io lo considero più una sorta di EP di lusso, anche perchè la qualità della musica è ovviamente altissima. Ma stiamo seplicemente facendo esercizi di classificazione.

Il vero botto capace di spararli dritti Into The Legend insieme a Fabio Lione-Carrisi, è arrivato con quest'ultimo "Terminal Redux", opera magniloquente e pomposa, con la nuova etichetta della band, la Earache, impegnata per mesi e mesi ad aumentare l'hype con mille edizioni tra vinili, cd e pacchetti vari con le magliette più disparate. Hype che non è stato per niente deluso, anzi: 4 anni abbondanti di gestazione,  73 minuti di musica, un concept fantascientico intricatissimo e una delle migliori copertine viste da parecchi anni a questa parte sono semplicemente le premesse per un disco che è assolutamente cosa buona e giusta definire "capolavoro". I 4 musicisti sono in completo stato di grazia, e se il frontman David DiSanto ha firmato buona parte della musica contenuta su queste dieci tracce, e tutta la parte relativa a concept e test, i suoi compari hanno fatto di tutto per valorizzare al meglio delle composizioni già pregevoli di loro. Il drumming scarno e forsennato di Blake Anderson, il basso onnipresente di Frank Chin, in questo lavoro molto più protagonita che gregario, le dita magiche di Erik Nelson, che insieme a DiSanto forma una delle migliori coppie di asce dell'intera scena, tutto è perfettamente incastrato in canzoni intricate, tecnicissime ed aggressive. 73 minuti di puro godimento, con buone dosi di psichedelia ben mascherata tra le varie partiture più veloci e dirette. 73 miunti che passano in un attimo, come se si venisse lanciati in un buco nero, per poi tornare sulla terra giusto il tempo di premere nuovamente il tasto "play" e ricominciare il viaggio. Poche ma efficaci sono state le modifiche apportate al suono ormai tipico dei Vektor, come le due voci femminili ad accompagnare le armonie delle chitarre in apertura e chiusura del disco, e come gli arpeggi acustici e il cantato in clean di "Collapse", esperimento secondo me ben riuscito nonostante gli evidenti limiti tecnici del cantato pulito di DiSanto, che ha intelligentemente optato per una prestazione non sopra le righe, in favore di una atmosfera crepuscolare al massimo. Ho apprezzato molto anche l'idea delle due voci, che tanto ha fatto parlare i sedicenti critici, e che hanno paragonato i vari arpeggi a "Fade To Black", con cui sinceramente non ho trovato alcuna somiglianza. Ma proprio nessuna.

Non voglio nè fare un track by track nè allungare troppo questa recensione, ben sapendo di essere il mio unico lettore, e di conoscere già cosa sto per scrivere. Dico solo che pezzi come "Ultimate Artificer", "LCD" e "Psycotropia" sono delle mazzate allucinanti da ascoltare senza indugio, molto meglio di alcune droghe che tanti dicono vadano provate almeno una volta nella vita, e che la parte finale di "Rechargin The Void", con le voci femminili che si stagliano sopra una base in blast beat ed ai latrati lancinanti di DiSanto, mi ha al tempo stesso gasato e spaventato per la sua aggressività ed efficacia. 

Ormai i Vektor trascendono le classificazioni, e faccio sinceramente fatica a definirli thrash, o death, o progressive, o chissà cosa. 

Nel frattempo sono nate band su band con loghi sovrapponibili e monicker con la V per non dover moficare il fonte che ha solo quella come maiuscola, che con la scusa di ispirarsi ai Voivod (che, ricordo, per anni e anni sono stati relegati al ruolo di band di culto ma che nessuno ascoltava) e di conseguenza ai Vektor, hanno cercato di cavalcare l'onda provocata da questi ultimi. E devo dire che ce ne sono anche di validi, tipo i toscani Vexovoid, che mi sentirei anche di consigliarvi. I Vektor però, nel frattempo, con "Terminal Redux", hanno tirato fuori il cazzo, l'hanno messo sul tavolo e hanno fatto tacere tutta la concorrenza dimostrando le proprie dimensioni nettamente superiori. Con buona pace di quelli che erano saliti sul carro dei vincitori e che ora si trovano davanti agli occhi delle enormi cime da scalare per poter raggiungere i maestri.

Ecco, tralasciando qualsiasi tipo di ritegno, mi sento di affermare che i Vektor potrebbero tranquillamente permettersi di calcare i palchi di qualsiasi grande festival IN VESTE DI HEADLINER, e annichilire gruppi ben più blasonati, famosi e pagati, che non cederebbero per niente al mondo il proprio slot sul main stage.

Anche se, egoisticamente, preferirei restino nell'undergound, con la fama di semidei che si meritano, chiusi nelle loro stanzette tra gatti, cani e mogli tatuate rompicoglioni, a scrivere nuovi pezzi, senza eccessivi sogni di gloria che hanno rovinato negli anni anche il musicista più equilibrato.

Adesso non ci resta che aspettare il 2020, massacrandoci nel frattempo con il miglior disco uscito negli ultimi 15 anni almeno.