giovedì 2 ottobre 2014

TNT - Realized Fantasies (1992)

Tracklist:
1. Downhill Racer
2. Hard To Say Goodbye
3. Mother Warned Me
4. Lionheart
5. Rain
6. Purple Mountain's Majesty
7. Rock 'n' Roll Away
8. Easy Street
9. All You Need
10. Indian Summer

Dalla Svezia gli Europe, dalla Norvegia i TNT.
Queste le due stelle più luminose della scena hard scandinava degli anni 80, quando gli Hardcore Superstar e i loro amichetti non sapevano ancora cosa fossero i tatuaggi ed avevano ancora capelli normali. E non sto parlando di cavalle bionde alla Brigitte Nielsen.

E perchè il 90 percento dei rockers italiani, non avrò mai sentito nemmeno nominare questi TNT? La risposta è presto data: non hanno mai composto "The Final Countdown". Strano come per un particolare così minimo un gruppo debba essere destinato alla gloria eterna o allo scatolone dei dischi in offerta a 3,99. E pensare che Joey Tempest (che in Italiano vuol dire "tempesta") e soci hanno da anni praticamente rinnegato la gallinella dalle uova d'oro, che ha sistemato loro, i figli e i nipoti a venire, suonando quei 3-4 pezzi durante i concerti senza nascondere affatto il loro atteggiamento alla "leviamocela dalle palle e poi vai di pezzi nuovi".

Quindi diciamo che i TNT non hanno potuto godere appieno della fama da supergruppo che hanno avuto altre realtà, ma possiamo ipotizzare senza paura di sbagliare che si siano levati lo stesso molte soddisfazioni: primi posti nelle classifiche norvegesi e non solo, e svariati tour mondiali a fianco di mostri sacri come Stryper, Judas Priest e Great White, nonchè alcune date, manco a dirlo, in Giappone, dove sono osannati alla grande.

Come tutti ormai sapranno, nei primi anni 90 il grunge imperversava, i camperos erano stati messi negli armadi per far spazio alle Converse ed una generazione di festaioli eroinomani aveva improvvisamente scoperto la depressione trasformandosi in un'altra Generazione X di festaioli eroinomani, però molto più tristi ed arrabbiati. Metal e Hard Rock erano stati lasciati a se stessi con scarso supporto, se non quello di pochi irriducibili.
Il passo dei TNT in questo contesto è stato proprio questo "Realized Fantasies", quinto album di una carriera più che trentennale, che mette da parte gli aspetti più smaccatamente legati alla decade precedente, buttandosi in un hard rock più fresco che strizza fortemente l'occhio ad una nascente scena metal improntata in maniera sempre maggiore sulla melodia. Il taglio netto con il passato era stato già dato qualche anno prima dagli Extreme, maestri nel proiettare nella nuova decade gli ultimi ruggiti dei fenomenali anni 80, per poi lasciarsi (purtroppo) andare ad incursioni nel post-grunge con le elaborazioni un po' eccessive di  "III Sides to Every Story", uscito nel 1992. Stesso anno dell'album oggetto di questa recensione che, per fortuna, rimane saldamente ancorato alle proprie radici.

Sin dalle prime note risulta evidente una vena progressive abbastanza rara per il genere, ben mimetizzata tra gli schitarreggi più prettamente cotonati, ma la vera sorpresa arriva nel momento in cui l'americanissimo Tony Harnell apre la bocca ed inizia ad urlare nel microfono. Raramente ho sentito tanta potenza vocale, soprattutto a livello di registrazioni in studio. La sua impressionante estensione vocale, privilegiata ovviamente nel registro medio-alto, viene corroborata da numerosi arrangiamenti vocali in multitraccia, andando ad ispessire l'impatto soprattutto dei cori, e a dare una varietà che a molte band è mancata proprio a questo livello. L'unico appunto che si potrebbe fare al cantante, essendo cattivi, è quello di essere forse eccessivamente camaleontico, ricordando vagamente di volta in volta innumerevoli altri interpreti, perdendo quindi un po' in personalità: in ordine sparso si possono sentire echi non voluti di Mike Tramp, RJ Dio, James Labrie (sentite il bridge di "Rain" e rendetevi conto che "Images and Words" avrebbe potuto essere un album ancora migliore), Kip Winger, Charlie Huhn e Joe Elliott, per citare solo quelli che mi sovvengono a memoria. C'è questa sensazione che permea l'intero ascolto del disco e che ti fa pensare in continuazione "Oddio, ora chi mi ricorda?". Tutto questo però non deve assolutamente significare che sia un cantante anonimo, piuttosto che racchiuda in sè il meglio di tanti altri grandi cantanti, e ciò non è mai male.

Anche il guitar-work dello stregone Ronni Le Tekrø, dallo stile originale e percussivo, risente di questa sensazione di déjà vu, come se l'album fosse una gigantesca caccia al tesoro in cui si debbano cogliere decine e decine di citazioni. Questo ovviamente non deve per forza rappresentare un giudizio negativo, almeno per me che cerco nella musica una passione sanguigna, e mi interesso molto poco dell'originalità a tutti i costi. Per quanto encomiabile possa essere il lavoro ritmico, devo dire di non aver apprezzato particolarmente l'aspetto solista, che dà un po' l'impressione di essere lasciato a se stesso, nonostante molti fill estremamente interessanti, complice un uso smodato della tecnica del carillon infernale di Bensoniana memoria che pare messo, a volte, solo come riempitivo forzato di quelle 4-8 battute in cui non si ha idea di cosa poterci fare sopra.

Dato che a qualcuno potrebbe interessare, alla batteria troviamo Mr. Prezzemolo Macaluso, alla prima ed unica collaborazione con il combo norvegese, che marchia a fuoco l'album con la sua caratteristica botta e con il suo estro che lo porta ogni tanto a starsene ben tranquillo, e ogni tanto ad uscirsene con sboronate di doppia cassa che vi faranno sorridere al mondo.

Tra molti alti ("Downhill Racer", "Hard To Say Goodbye", "Mother Warned Me", la già citata "Rain" e la doppietta finale "All You Need" e "Indian Summer") ed alcuni bassi (meglio parlare di pezzi un po' anonimi, dai), il disco scorre alla grande rendendo un'opzione automatica l'ascolto in loop, lasciando però la sensazione amara che, per alcuni brani, si sarebbe potuto fare di più, dato che le potenzialità per creare 10 hit su 10 c'erano eccome.