giovedì 14 aprile 2016

Savatage - The Wake Of Magellan (1997)

Tracklist:
1. The Ocean
2. Welcome
3. Turns To Me
4. Morning Sun
5. Another Way
6. Blackjack Guillotine
7. Paragons Of Innocence
8. Complaints In The System (Veronica Guerin)
9. Underture
10. The Wake Of Magellan
11. Anymore
12. The Storm
13. The Hourglass

Lungi da me effettuare una panoramica dettagliata sulla discografia di uno dei gruppi più straordinari della storia della musica, mi limiterò a parlare di questo "The Wake Of Magellan" descrivendo come sia stato possibile coniugare in maniera armonica e naturalissima fatti di cronaca, musica e poesia.

Questo album rappresenta probabilmente l'apice dell'era O'Neil, successiva alla morte del compianto Criss Oliva. Jon Oliva e Paul O'Neil, forti anche della recente collaborazione per l'esordio della Trans-Siberian Orchestra nel 1996, danno vita ancora una volta ad una serie di canzoni intimamente collegate tra loro, pescando a piene mani dalla tradizione più orchestrale della band, coniugando un riffing colto e ricercato, l'amore per il musical già abbondantemente sfoggiato in "Gutter Ballet" e le stratificazioni vocali iniziate su "Handful Of Rain" e riprese successivamente su "Dead Winter Dead", dal quale viene ripresa anche l'idea del concept album e dell'ispirazione a fatti di cronaca, in questo caso la morte della giornalista Veronica Guerin e il caso dell'annegamento di 3 clandestini sulla Maersk Dubai, il tutto inserito in una sorta di percorso spirituale legato intimamente all'Oceano.

Se proprio dovessi trovare un difetto a quest'album, che inserisco senza indugio tra i miei 10 album preferiti di sempre, parlarei della parziale (e volontaria) messa in ombra di Jon Oliva, qui impegnato solo alle tastiere e alla voce su un paio di pezzi, oltre che, ovviamente, alla composizione che pure risulta evidentemente trascinata da O'Neil e dal collettivo TSO, che ricordiamo  riempie i teatri di tutti gli Stati Uniti e garantisce un introito di una milionata di dollari al giorno nei periodi di tour. Insomma, gente che sa fare il proprio mestiere, e lo sa fare bene.

L'intera ora di durata del disco sembra scorrere tra le dita come acqua marina, e le tredici composizioni non riescono a saziare le orecchie e si è sempre portati a ricominciare l'ascolto che, per essere effettuato al meglio, come tutte le opere rock o per i concept album, dovrebbe avvenire tutto di un fiato, senza pause.

Il mare è l'elemento portante dell'intero disco, a partire dal concept, passando per la splendida copertina firmata da Edgar Jerins (che fu poi quella che mi spinse a comprare il disco a scatola chiusa quando venne eletta nella poll di fine anno di Metal Hammer come miglior copertina del 1997), al suono della risacca che ci accoglie dopo la pressione del tasto play. Da queste acque sorge un pianoforte malinconico che fa da tappeto all'ingresso in fading dell'intera band in un riff coperto dalla foschia, confluendo poi in una composizione ("Welcome") che potrebbe essere stata tranquillamente scritta da Andrew Lloyd Webber. E proseguendo nell'ascolto verremo travolti da altissime onde, verremo intrappolati in enormi gorghi e andremo incontro a pericolosi temporali, salvo poi ritrovarci circondati da un mare liscio come l'olio, una volta che queste saranno sparite e avranno lasciato il posto ad un nuovo sole splendente.

Musicalmente, ogni singola nota è perfettamente incastonata in un gioiello costruito con perizia da musicisti rodati e senza manie di protagonismo: la forza dei Savatage, infatti, è sempre stata quella di essere estremamente uniti sia a livello professionale che personale, e di vivere completamente al servizio della musica e del gruppo stesso. Ogni membro risulta quindi essenziale per porre quest'album ad un livello così elevato, sia pur evitando volutamente qualsiasi momento di autocelebrazione: la voce di Zack Stevens è evocativa come poche altre e lo conferma immediatamente come uno dei cantanti più dotati dell'intera scena; Jeff Plate e Johnny Lee Middleton costituiscono una sezione ritmica solidissima e precisa rimanendo sempre in secondo piano, e i due chitarristi Al Pitrelli e Chris Caffery sciorinano riff e assoli uno dopo l'altro come versi di una poesia. Al timone c'è sempre un Jon Oliva un po' distante, coadiuvato dal terzo socio della TSO, Robert Kinkel, che con le loro tastiere vanno a migliorare un arazzo già preziosissimo di suo con sfumature d'oro e d'argento.

Non è questa la sede in cui effettuare un confronto tra questo disco e le gemme partorite insieme a Criss Oliva, in quanto a mio avviso, stiamo parlando di due gruppi completamente differenti, che condividono semplicemente dei membri. Se si chiedesse a 10 fan dei Savatage quale sia il loro album preferito, probabilmente si avrebbero 10 risposte diverse, così come sono estremamente diversi i commenti a questo "The Wake Of Magellan": alcuni lo ritengono troppo debole rispetto alle altre release sotto lo stesso monicker, mentre altri, tra cui il sottoscritto, lo reputano il vero capolavoro post-Streets. L'unico aspetto che non cambia è l'amore che i fan continuano ancora oggi a dimostrare ad una band che, suo malgrado, non ha mai raccolto ciò che realmente meritava, e che ha però saputo accontentarsi, rimanendo di una purezza sconcertante, spinta solamente dall'amore per la musica e limitandosi ad un sorriso sornione come quello di Jon Oliva, una persona splendida, dotata di un cuore enorme e che spero un giorno di poter in qualche modo incontrare, anche solo per ringraziarlo per tutte le emozioni che mi ha regalato con "When The Crowds Are Gone", probabilmente la canzone che mi tocca più nel profondo.

Ancora una volta, grazie Savatage.

Nessun commento:

Posta un commento